Passa al contenuto
Articolo

Riposo sì, paralisi no: ripensare le ferie per non spegnere il Paese

Nessuno discute l’importanza delle ferie: il riposo fisico e mentale non è un lusso, ma una necessità. L’essere umano non è una macchina, ha bisogno di staccare, rigenerarsi, ritrovare energie e motivazioni. Ma la domanda vera è un’altra: il problema è davvero il riposo o il modo in cui lo organizziamo? Perché qui sta la differenza tra un’abitudine sana e una (a mio parere) cattiva consuetudine collettiva che, nei fatti, riduce la produttività, rallenta la competitività e rende ancora più pesante la ripresa.

Chi rientra a settembre in Italia conosce bene quella sensazione: scrivanie colme di pratiche, clienti impazienti, fornitori che chiedono risposte, colleghi che si affannano per recuperare settimane di “blackout”. È come correre una maratona senza allenamento: l’illusione di “aver rifiatato” svanisce subito, lasciando il posto a stress, errori e margini che si assottigliano.

Eppure, i dati dell’Holiday Barometer 2025 di Europ Assistance dicono che l’85% degli italiani è oggi disposto a viaggiare in bassa stagione. L’opinione pubblica (perché per ora è solo un’opinione!) dice che non è più agosto il re delle vacanze, sempre più italiani sceglierebbero giugno, settembre, o addirittura la primavera e l’autunno. Tutto questo è segno che la mentalità sta cambiando, che c’è voglia di uscire dal cliché della “fuga agostana di massa” nata nel post-guerra.

Ma ecco che diventa evidente uno scollamento tra le scelte individuali degli italiani e l’organizzazione collettiva. Da una parte cittadini pronti a destagionalizzare le loro ferie per risparmiare, evitare folle e vivere esperienze più rilassanti e nuove. Dall’altra imprese che, soprattutto se micro o piccole, restano prigioniere dello schema del “chiuso per ferie ad agosto”. Un paradosso che diventa ancora più evidente se confrontiamo la situazione tra grandi aziende e piccole realtà.

Le grandi aziende, pur con le loro rigidità, mettono in pratica sistemi di ferie scaglionate, rotazioni interne, piani ferie strutturati. Hanno la forza organizzativa per garantire continuità anche nei mesi caldi, gestendo la distribuzione del lavoro e di ogni risorsa umana e non, in modo da non lasciare mai scoperta un’area di servizio. Nei piccoli studi professionali e nelle microimprese, invece, la decisione è quasi sempre unilaterale: il titolare stabilisce le ferie di tutti, generalmente ad agosto, quando i costi di viaggio sono più alti e i luoghi più affollati. Non per efficienza, ma perché “si è sempre fatto così” o, peggio ancora, perché piace al titolare.

Il risultato è un nuovo scontro tra nuove abitudini individuali e rigidità organizzative: da un lato lavoratori e famiglie che sarebbero disposti a spostare le ferie, dall’altro imprese (o imprenditori) che non riescono a immaginare un sistema più flessibile, e a pagare il prezzo più alto sono proprio loro, le micro e piccole realtà, quelle che meno potrebbero permettersi settimane di inattività.

E quindi ogni estate, puntuale come un rituale, l’Italia si ferma ad agosto! Non un rallentamento fisiologico, non un semplice “tempo di pausa”, ma un vero e proprio blocco collettivo. Le aziende abbassano le serrande, uffici che diventano deserti, professionisti introvabili, intere filiere produttive che entrano in stand-by, il Paese si trasforma in un gigantesco paese fantasma. Restano attivi solo turismo e ristorazione, mentre i servizi essenziali sopravvivono a “mezza potenza”. Una scena che, vista con occhi stranieri, ha qualcosa di incredibile. Eppure, in Italia, è la normalità.

Ho vissuto e lavorato per undici anni all’estero, in Paesi dove la pausa estiva esiste eccome, ma il concetto di “tutto chiuso in agosto” semplicemente non c’era. Le ferie si facevano, certo, ma erano distribuite. Le aziende si organizzavano con ferie scaglionate, garantendo sempre la continuità delle attività, i colleghi si coordinavano, i reparti non restavano mai scoperti, i clienti non erano lasciati senza risposte, i ritmi erano più blandi, ma la macchina produttiva nazionale non si fermava. Il Paese continuava a respirare e, paradossalmente, anche le persone si godevano ferie più autentiche con meno folla, più tranquillità, prezzi spesso più bassi. E soprattutto, un rientro meno traumatico, senza quella valanga di arretrati e urgenze che da noi diventa il pane quotidiano del post-agosto.

Riflettendo su questo, emerge un concetto che spesso resta invisibile: la gestione della banca ore aziendale delle realtà più piccole. Ogni collaboratore, ogni socio, ogni membro del team contribuisce a formare un patrimonio collettivo di tempo disponibile. La capacità di un’impresa di rimanere produttiva anche in estate dipende da come distribuisce questo patrimonio. Se tutti staccano nello stesso momento, la banca ore si azzera e la macchina si ferma. Se invece le ferie vengono distribuite in modo intelligente, la banca ore continua a girare, anche se a regime ridotto. Questo significa mantenere servizi attivi, clienti seguiti e continuare con processi che non si interrompono.

E non parliamo solo di produttività fine a sé stessa. Una gestione più flessibile delle ferie ha impatti diretti anche sul benessere dei collaboratori. Evitare picchi di lavoro insostenibili prima e dopo agosto significa ridurre lo stress, migliorare la qualità del tempo libero e rendere il rientro più dolce. Un ambiente di lavoro che non costringe a “pagare a caro prezzo” il riposo diventa automaticamente più sano, più collaborativo, più motivante. E, come sappiamo, un team motivato produce di più e meglio.

Il vero nodo, dunque, è culturale e organizzativo. Non si tratta affatto di abolire le ferie d’agosto, ma di superare l’idea che tutto debba fermarsi solo in agosto, provare ad adottare un approccio più razionale e flessibile, che tenga conto dei cambiamenti sociali e delle nuove esigenze reali delle persone: piani ferie condivisi e scaglionati, strumenti digitali per gestire pratiche e progetti anche a organici ridotti, una distribuzione equa delle risorse, tutti strumenti che potrebbero ridurre il peso di questa “apnea collettiva”.

Allora la domanda diventa inevitabile: quanto ci costa davvero, in termini di competitività, opportunità e benessere, questo agosto in cui l’Italia si spegne?

Forse è arrivato il momento di smettere di accettare il “si è sempre fatto così” e iniziare a immaginare un modello diverso. Non per rinunciare alle meritate ferie, ma per costruire un sistema più intelligente e sostenibile. Perché il tempo resta la risorsa più democratica di tutte: ventiquattro ore per ciascuno, ogni giorno. 

La differenza la fa come scegliamo di usarle.


Vuoi ricevere articoli come questo ogni mese? 
Iscriviti alla mia newsletter su LinkedIn, già seguita da oltre 800 professionisti.
Iscriviti su LinkedIn



Roberto Giarratana Consulente Organizzativo
Roberto Giarratana

Consulente organizzativo & CRM expert
Creatore del Metodo IOP© 


Contattami